Lo sfogo di una prof: "Sì, siamo spaventati Anche dalle minacce di tanti genitori"

SCUOLE DI FRONTIERA

Lo sfogo di una prof: "Sì, siamo spaventati Anche dalle minacce di tanti genitori"


"Dobbiamo sempre cercare di essere inattaccabili - spiega l'insegnante - Cerchiamo la collaborazione con le famiglie, ma non sempre la troviamo"

MILANO, 18 FEBBRAIO 2009 - "Qui prima che insegnanti bisogna essere educatori. E non è facile. Ma alla fine, nonostante i problemi, nonostante la fatica, si scopre che ne valeva la pena. Quando porti questi ragazzi a un diploma, è una bella soddisfazione». A parlare è la professoressa Emanuela P., docente di matematica in un istituto professionale della periferia nord-ovest di Milano: zona di frontiera.

Professoressa, lei insegna in questa scuola da 17 anni: una scelta?
«Diciamo che ormai, con la mia anzianità, potrei farmi trasferire, ma non l’ho mai fatto. Sono contenta di lavorare qui, anche se è molto faticoso».

Cominciamo dal rapporto con le famiglie: difficili?
«Non semplici. Noi cerchiamo la collaborazione, ma non sempre la troviamo. A volte i genitori sono troppo impegnati sul lavoro. Spesso non c’è una vera e propria famiglia: c’è un solo genitore. Insomma, il problema è che in moltissimi casi l’iniziativa la dobbiamo prendere noi, perché la famiglia non si muove per prima».

E’ di pochi giorni fa il caso di una madre che ha picchiato l’insegnante della figlia...
«Casi del genere da noi non ne sono successi, ma lo posso immaginare. Diciamo che da noi non sono passati a vie di fatto, ma episodi di proteste, anche molto plateali, con qualche minaccia, ci sono stati».

Minacce?
«A volte minacciano di denunciarci, di presentare ricorsi in Provveditorato, ma poi non succede nulla. Anche perché noi stiamo sempre attenti ad essere inattaccabili sul piano formale».

E gli stranieri?
«Per la maggior parte sono cinesi e sudamericani. La cosa più difficile è tenere i rapporti con i cinesi: per una questione di lingua e perché si interessano poco ai problemi scolastici. I sudamericani invece tengono molto alla scuola e cercano di seguire i figli».

E allora veniamo ai ragazzi e al loro rapporto con la scuola.
«Anche questo non sempre è facile. Molti, come dicevo, vengono da situazioni familiari difficili. Noi non ci possiamo certo sostituire alla famiglia, ma spesso finiamo per diventare un po’ i loro confidenti. Poi, se ci sono problemi particolari, se serve un consiglio di un certo tipo, li mettiamo in contatto con lo psicologo dello “sportello” istituito proprio per questo scopo nella nostra scuola. Il vantaggio dello psicologo nei nostri confronti è che lui non è un “valutatore” come noi. Quindi con lui per i ragazzi è più facile aprirsi, raccontare».

Anche con gli studenti nessun problema di violenza?
«Che io ricordi no. Qualche minaccia, sicuramente. Qualche macchina rigata con un chiodo, anche se poi non possiamo essere certi che siano stati i ragazzi, ma niente di più. Io abito nel quartiere dove ha sede la scuola. Tutti sanno benissimo dove sto, ma non mi è mai successo niente».

E la droga?
«Dentro a scuola direi proprio di no. Però a volte, all’intervallo, qualche strano movimento vicino ai cancelli lo abbiamo visto e siamo intervenuti. Bisogna difendersi dallo spaccio fuori dalla scuola. Poi però non è che possiamo vigilare su ogni minuto della giornata dei nostri studenti...».

E finite per perderne per strada proprio per la droga...
«Succede. Capita anche che ci siano ragazzini di prima che, alla classica domanda su cosa vorranno fare da grandi, rispondono: “Voglio spacciare, così faccio un sacco di soldi”. E purtroppo spesso ci riescono».

di Giorgio Guaiti



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Fonte: http://quotidianonet.ilsole24ore.com - 18/02/2009

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